Trieste (mercoledì, 5 giugno 2024) – Due atti unici per due seconde rappresentazioni assolute è la formula con cui il Teatro Verdi di Trieste si appresta a chiudere la stagione di lirica e balletto. “La Porta Divisoria” di Fiorenzo Carpi, su libretto di Giorgio Strehler, in seconda rappresentazione assoluta dopo la prima mondiale a Spoleto, e “Il Castello del Duca Barbablù” di Béla Bartók su libretto di Béla Balász, per la seconda volta a Trieste dopo la prima e unica rappresentazione nel 1979, costituiscono il dittico che debutterà venerdì 14 alle 20.30 (in scena fino a domenica 23 giugno), illustrato in conferenza stampa al Ridotto del Teatro Verdi, presenti il direttore artistico Paolo Rodda, l’attrice e scrittrice Martina Carpi figlia di Fiorenzo, il direttore Marco Angius, il regista Henning Brockhaus, Enrico Girardi direttore artistico del Teatro Sperimentale di Spoleto e critico del Corriere della Sera e il cast vocale di entrambe le opere, moderatrice Alessia Capelletti.
di Davide Lettera
La Porta Divisoria è l’unico libretto d’opera firmato da Giorgio Strehler su commissione di Victor de Sabata per il Teatro La Scala. Si ispira fedelmente a “La metamorfosi” di Franz Kafka ed è stato musicato da Fiorenzo Carpi, compositore ufficiale di tutti gli spettacoli del regista triestino, grande musicista e autore della colonna sonora di “Pinocchio”. Modulata da Strehler in cinque quadri, per molto tempo l’opera è rimasta incompiuta in quanto mancante del quinto quadro e per tale motivo non è mai stata rappresentata fino a due anni fa quando, grazie all’iniziativa di Enrico Girardi, il Teatro Sperimentale di Spoleto ha affidato la composizione dell’ultimo quadro al compositore Alessandro Solbiati, riuscendo così finalmente a metterlo in scena la prima volta, sebbene in versione strumentale ridotta dovuta agli spazi ristretti del teatro Caio Melisso.
Il Castello del Duca Barbablù, invece, composto nel 1911 e rappresentato per la prima volta a Budapest nel 1918, è l’unica opera lirica presente nel catalogo di Bartók, liberamente ispirata sia alla celebre fiaba di Perrault che al dramma di Maeterlinck e si connota per il denso magma sonoro che riflette tutti i dettami dell’impressionismo simbolista.
A unire idealmente le due composizioni è proprio l’elemento porta, che separa il mostruoso Gregorio dai suoi familiari nell’atto di Carpi, e che condanna a un crudele e misterioso destino la troppo curiosa Judith nell’opera di Bartók. Sul versante musicale il maestro Angius ha sottolineato il fatto che sebbene Carpi sia un compositore che scrive musiche di scena per il teatro ma anche per documentari e film e quindi il suo sia un linguaggio molto immediato, in questa opera invece ha uno stile piuttosto astratto e di ricerca musicale, riconducibile all’avanguardia degli Anni Sessanta e alla musica sperimentale. «L’orchestrazione ridotta ha dei colori cupi provenienti dall’espressionismo, che ben si adatta alla tematica kafkiana – ha spiegato il direttore – e quindi anche la vocalità è molto sperimentale, fatta di suoni graffianti e talvolta tendenti al parlato, quasi una sorta di evoluzione del recitar cantando. È un’opera fortemente dialogata anche se non manca qualche squarcio più lirico e disteso».
Proseguendo nell’analisi delle partiture, Angius ha sottolineato come in Bartók la situazione sia diametralmente opposta, con un’orchestrazione gigantesca ed estremamente visionaria che quasi sostituisce la carica lirica delle voci con numerosi passaggi solistici, funzionali a tradurre in termini musicali la lingua ungherese. «La vocalità di Bartók non è una vocalità tesa ed espressionista, è più vicina a Debussy che non a Schönberg – ha detto Angius – ed è fatta di brevi incisi abbastanza riconoscibili e ripetuti, contenuti in una struttura di dialogo più che in una struttura lirica. Però la carica e l’espressione musicale dell’orchestra è tale che attira e coinvolge irresistibilmente il pubblico».
Eccellente poi per Angius l’aver accostato questi due titoli «che condividono l’idea della porta come passaggio in un’altra dimensione ma anche come elemento che cela qualcosa di mostruoso e di indicibile che conferisce a entrambe le opere un aspetto piuttosto misterioso ma anche molto affascinante. La porta è un cubo che guarda alla sospensione del tempo e a trame che non vengono mai completamente enunciate perché sono entrambi due thriller di teatro musicale». Prezioso il fermo-immagine musicale sul Castello offerto dalle voci di Isabel De Paoli e Andrea Silvestrelli accompagnati al pianoforte da Adele D’Aronzo.
Last modified: Giugno 7, 2024